Claudia Di Palma: una nuova Arca dell’Alleanza

Costruisci un’arca.
Prendi nomi, aggettivi, verbi,
ecc. ecc.
Prendi pure un eccetera o un chissà
che sospenda il ragionamento
quando si inceppa,
che ti faccia immaginare il futuro
della lingua,
la destinazione, la rotta.

Claudia Di Palma parla un linguaggio modernissimo, in questa poesia pubblicata da Vittorino Curci su “La Repubblica”. L’invenzione di un’Arca dell’Alleanza per la parola è ben più dell’invenzione di un’Arca dell’Alleanza per la parola: è il lancio di un SOS per un’intera cultura in pericolo. Chi scrive oggi fa necessariamente della post-scrittura. Un tempo si scriveva con spirito affermativo: ho qualcosa di nuovo e inaudito da dire, e voglio che il mondo mi ascolti. Oggi si scrive per rimanere aggrappati alla nave dell’umanesimo silurata da tutte le parti. Non si coltiva più la reale speranza di aggiungere un tassello alla già vasta storia della Bellezza, si scrive per restare aggrappati a quella nave. Di Palma prende a riferimento il Testo per eccellenza, quello biblico, e sembra scomporlo in unità minime: parole, segni di interpunzione, perfino “eccetera” e “chissà”. Come all’indomani di un grosso trauma o di una grave malattia si ricomincia a gustare la vita a partire da cose minuscole, così Di Palma riassapora il mondo dei segni nelle sue manifestazioni basilari, quelle che in tempi normali si danno per scontate. Ma questo non è un tempo normale: è un tempo in cui la civiltà della parola è a rischio. E Di Palma, che è poeta dalla forte intonazione sacrale, la risacralizza nelle sue manifestazioni elementari.

Il tono della poesia non è per niente lirico. Ho pensato a un passo di Corpo celeste di Anna Maria Ortese che parla del rapporto tra la malvagità e il canto. Per mettere l’essere umano di fronte a se stesso, dice, bisogna far cessare canti e suoni. Le dittature creano strepito, hanno bisogno di musica e lirismo perché, sotto quella musica e quel lirismo, si possono compiere massacri azzerando il pensiero. Il silenzio lascerebbe l’uomo nudo dinanzi alla realtà del male. Ho pensato a quanto è tutto fragoroso in questi anni, dai toni della politica a quelli della comunicazione, al volume della musica. In questo fracasso, si può essere crudeli più che mai. Eppure la nostra è, fra le generazioni, quella che parla più a bassa voce e nel modo più timido e impacciato. La parola, che esprime cuore e ragione, è balbuziente, e invece l’insulto, l’urlo e l’odio sono fortissimi. Claudia Di Palma non intona canti, il suo ragionamento non scorre filato ma “si inceppa”; eppure esprime, insieme alla lucida constatazione di una crisi, la speranza di una nuova Arca che traghetti l’umanesimo in un tempo nuovo. L’ultimo verso della poesia isola due sole parole: “la destinazione, la rotta”. Fra le voci della mia generazione, quella di Claudia è fra le pochissime che quella destinazione, quella rotta ce la possono indicare.

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