È dura e asciutta la voce di Rita Greco, eppure possiede una sua grazia gioiosa. Una gioia pacata, malinconica senza essere offuscata dalla malinconia: una gioia che è capacità di tutto comprendere ma di accogliere solo il necessario. In nessuna parola del suo La gioia delle incompiute (Ladolfi, 2021, con prefazione di Alfonso Guida) Rita non appare in sintonia con sé. Se l’unico impegno per uno scrittore è quello d’esser fedeli alla propria vocazione, Rita lo rispecchia in ogni singola scelta linguistica. Una lingua piana, pulita da scorie, che sembra lavorata come il cuore del carciofo, per sottrazione, fino ad arrivare ad un nucleo squisito. Il senso di morbidezza e, al tempo stesso, di rigore che quest’opera ci comunica viene da lì. Ho scelto l’immagine del carciofo, tratta dalla vita agreste, perché la poesia di Rita origina dalla concretezza delle cose, dal contatto diretto con un mondo che non ha rinnegato i suoi tratti arcaici. In un’intervista del 1994, Goliarda Sapienza dice di sé: “Io sono un organismo preindustriale”. Anche Rita è un organismo preindustriale, e la sua qualità affettiva ne è la prova. Nulla di frenetico, drammatico, istrionico nel suo dettato; nulla, nemmeno dei massimi sistemi, dei varchi, dei voli pindarici; tutto, invece, è il frutto di una decantazione.
Al centro del suo mondo la tensione polare tra la parola e il silenzio:
Tu credi che io
non abbia voce
è solo che mi hanno detto
nel dubbio, taci.
Ma il dubbio
è il nostro pane quotidiano
e allora ho lasciato
lievitare
un soffice silenzio
o quella tra il sì e il no:
Distribuire no ben assestati
alle interferenze
alla frode delle urgenze
alla tentazione del fiacco deragliare.
La sua poesia conosce aperture quasi favolistiche, rigogli improvvisi:
Senti che sinfonia il nuovo giorno
senti il cielo crepitare di pungente gioia
e tutti i pianeti scintillano nei tuoi occhi
nei tuoi occhi danza la vita musicante e io
e io così piccola e buia
non riesco a contenerla.
I momenti più intensi li raggiunge tuttavia laddove si fa epigrammatica, laddove si condensa in formule che riescono a produrre una polisemia priva d’ambiguità. In quel tono così gentile ma così rigoroso s’innesta il bene supremo dell’ironia:
Ma lasciatemi l’illusione
che a qualcosa serva
mettere insieme questi suoni sgangherati
e se in realtà non sono che rumore
è perché io più di tutto
sono contraddizione.
La riflessione di Rita -che verte sul tempo e sul silenzio- ha come corrispettivo visivo le ville della Toscana, così frugali, eppure radicate nello stile come sono radicate nella terra. Rita è frugale, ma radicata nello stile come è radicata nella terra, e questa è la maggior forza del suo dettato. Fa poesie come una pianta fa pomodori, e per questo i suoi versi non sono solo belli: sono anche buoni e solidi.