Scorticami,
prendi pure tutto,
arriva fino al midollo,
gusta la mia carne tenera,
a tratti dolorante d’autunno.
Stacca la scorza dal viso,
dalle braccia, a piene mani cuore,
polmoni del respiro,
reni della paura,
fegato delle botte,
occhi della visione.
Strappa i capelli, a ciocche.
Ché non debba più curarmi
del riflesso livido di me.
Tappami le orecchie
ché non senta più i rantoli,
solo la mia fine voce.
Sediamo a guardarci ora,
sai vedermi?
Non ho parvenza, solo trasparenza,
lungosopravvivenza al matrimonium.
RAL 5023,
cielo su solitudini che s’annientano.
Diretta, cruda, senza sconti nemmeno per se stessa, Alessia Bronico traccia con Un dio giallo (LietoColle, 2018) lo spietato diagramma dei rapporti di forza all’interno di un rapporto d’amore. Denuncia la contaminazione dell’amore con le convenzioni sociali -inclusa quella del matrimonio-, lo sgretolarsi della felicità originaria col passare del tempo. Di tutte le sue raccolte di poesia, questa è la più aspra. Forse per questo è anche la più potente. Anche quando referta la fine di un amore, Alessia lo fa col suo vigore abituale. Il titolo della raccolta è luminoso. Chi è il dio giallo? Egli è l’uomo, la controparte di questo amore fatto di “solitudini che s’annientano”. A venir meno, nel rapporto descritto dalla poetessa, non è la passione, ma la fiducia, forse la stima. Così, i versi ci catapultano in una fornace di sentimenti intensissimi e contrastanti, che lacerano l’io poetico portandolo contemporaneamente in direzioni diverse. Il costante riferimento allo spettro dei colori rispecchia questa ebefrenia: al giallo si contrappone il marrone, al colore squillante della vita fanno da contraltare le tonalità della ruggine e della terra. Alessia denuncia la violenza e la sopraffazione connaturali al rapporto di coppia, e sembra concordare con Jacque Brel quando diceva di preferire la tenerezza all’amore, perché nel rapporto d’amore è sempre insito un elemento di potere. Eppure, quest’amore intenso e violento non viene mai rinnegato: al contrario, l’autrice insiste sulla difficoltà della separazione, sulla persistenza degli elementi che legano e che rendono la fine del matrimonium una tortura.
Quando t’arrenderai
alla mia disperazione,
alla mia assoluta felicità
cucinata in pentole di rame –
PANTONE 876 Copper –
quando t’arrenderai
alla mia semplicità
all’assoluta follia
quando t’arrenderai…
la solitudine per tenerti
al caldo ed io prudenza,
trama di lino che restringe
al lavaggio e poi s’adegua,
la cena in tavola per noi
senza mai fame.
Un punto coronato
sulle nostre teste,
in esecuzione fine amore.
Quando t’arrenderai
canteranno bimbi
in polifonia di gioco
noi seduti rimanderemo
l’applauso per non
vederli smettere mai.
Da un punto di vista formale, a tenere unita la raccolta è il ricorso costante a due aree semantiche portanti: quella già menzionata del colore e quella del mito greco. Forse la poetessa ricorre troppo spesso, nell’ultima parte, alle figure del mito greco, forse la raccolta si regge già per la sua unità tematica, senza far ricorso troppo spesso ad altri elementi unificatori. Ma c’è una verità innegabile che l’operazione di Alessia mette in luce: ed è che, se l’amore rende mitico l’oggetto amato, anche la sua degenerazione in odio non solo non fa cessare il mito, ma lo amplifica.
Mio Apollo, mio Giallo
mi congiungi le mani
[cosìsia]
una corda al collo
per condurmi al Parnaso.
Sosta per mordermi i capezzoli,
sfiorarmi il mento con la lingua,
trascino i piedi nessuna
danza orgiastica.
Mio Apollo, mio Giallo
amare coniuga il presente.
Cosìsia in questo camposanto
di tradimenti tutti al passato.
Non fa nessuno sconto, Alessia, e non trascura nulla: anche la sessualità viene affrontata a più riprese con la consueta, cruda sincerità: “Scopami” ripete la poetessa al suo dio giallo in una delle poesie. Forse la sintesi più perfetta –e, come sempre, cruda- dei convulsi moti interiori che animano questa sorta di poema –ché un’unità poematica corre per tutta la raccolta- è nell’ironia devastante di questi due versi, in questa sbarazzina e tragica definizione:
Amore, un bastardo che
pianta radici nello stomaco.
Fantastica!
Sì. Ammiro profondamente Alessia.
Ammirazione dovuta!