Veronica Tomassini, “Sangue di cane”

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Mi rendo conto che è poco ortodosso scrivere di un libro che non si è ancora finito di leggere. Ma questo libro non ha nulla di ortodosso, per cui mi prendo la libertà di scriverne per frammenti. È l’incredibile storia d’amore tra una ragazza della buona borghesia palermitana e un immigrato polacco che fa il semaforista e che campa alla giornata. Ma non è questo il motivo del suo fascino, e nemmeno il fatto che l’autrice si muova in un sottomondo dove l’abiezione e l’umanità si presentano in forme così pure da essere a malapena accettabili. Il fascino di quest’opera è -per me, a questo stadio della lettura- che non sembra nemmeno un romanzo, ma un poema in prosa, e che non sembra scritto da un’autrice italiana, ma da una controparte femminile di Venedikt Erofeev, lo scrittore russo autore di Mosca-Petuškì: poema ferroviario. La lingua di Veronica Tomassini è durissima e secca eppure strabordante: vi compaiono quelle che in mano d’altri sarebbero ingenuità, cadute nella retorica. Ebbene, nelle mani di Veronica queste ingenuità, queste cadute assumono l’accento di una rude, acre tenerezza. Perché è talmente aspra la vicenda, così sopra le righe e spudorata e contraria a ogni buon senso e buon gusto, che queste apparenti cadute corrispondono al bisogno umano di trovare un minimo di appiglio nella consuetudine, un minimo di consolazione. È un libro antilirico eppure pieno di aperture verso l’Altrove, verso la dimensione del Sacro. In un passo l’autrice cita San Paolo. Questi spiragli d’oltremondo fanno l’effetto delle cantate di Bach sopra le scene di borgata nei film di Pasolini: mescolano devozione e profanazione. L’amore di Veronica -mi viene da chiamarla Veronika, in polacco- è amore francescano, che si rotola nel fango insieme ai porci: è un amore abissale, non ha niente del desiderio di dare scandalo, non è la ribellione della ragazza di buona famiglia al suo ambiente sociale. No, è un’esperienza pura dell’umano, così pura da confinare con l’abbandono e la mortificazione -anch’esse cariche d’eros- dei mistici.

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