Non avevo più visto Il caimano dopo il 2006. Già allora avevo immaginato che sarebbe stato uno di quei film bellissimi ma che invecchiano rapidamente, perché sono talmente calati nell’attualità da consumarsi con essa. A distanza di diciassette anni, posso dire che da un lato ci avevo preso in pieno, dall’altro non avrei mai potuto immaginare in che misura, in che direzione e quanto velocemente la realtà si sarebbe deteriorata, al punto che quella raccontata nel film ci sembra tutto sommato semplice a paragone dell’odierna.
Le sequenze migliori sono quelle dell’ascesa del Cavaliere, interpretato da un Elio De Capitani perfettamente calato nello “spirito di Milano 2″. La trama del film gioca con un topos tipico del cinema resistenziale: quello della progressiva acquisizione di coscienza politica da parte del protagonista -Silvio Orlando. Se ieri quel topos funzionava proprio per il riferimento cinefilo -che lo spettatore più avveduto coglieva-, oggi quello stesso riferimento tende a sparire di fronte alle migliaia di resistenze, spesso anche discutibili, degli ultimi anni –anzi di fronte ai veri accaparramenti della Resistenza fatti negli ultimi anni con ragioni più che discutibili. Il mondo resistenziale-attualizzato di Moretti del 2006 dava di sé un’immagine tetragona, oggi ne dà i frammenti, le schegge impazzite. Gli aniberlusconiani di allora sono nel frattempo diventati grillini, sono diventati no-vax che paragonano il green pass alla tessera del pane, ecc. Ed anche il fenomeno che il film si propone di indagare, il berlusconismo, è a sua volta esploso in tanti microfenomeni che portano i nomi di Salvini, Meloni, ecc., tutti debitori del padre “nobile”, ma tutti sostanzialmente più pericolosi per le ideologie che propongono. Berlusconi, in fondo, non proponeva nessuna ideologia, promuoveva una visione del mondo basata su volgarità e consumismo e cercava di trarne il massimo vantaggio personale. Il suo cinismo era palese e accettato. Attorno a lui s’è addensato rapidamente -giovandosi del suo progressivo declino- un mondo fatto di vera mistica neo e post fascista, che va dalla “nonpolitica” dei Cinquestelle alla chiara rivendicazione del fascismo da parte del governo in carica. Il livello della politica italiana s”è abbassato come nessuno poteva prevedere nel già pur scadente 2006, e il trionfo dei social era in quel momento impensabile.
Nel Caimano la sceneggiatura destruttura la narrazione, come è tipico di Moretti, solo che in questo caso il collante è costituito dall’attualità del 2006, che nel frattempo è invecchiata e si è complicata. Oggi solo il rigore della musica di Franco Piersanti sembra ricondurre -a fatica- i frammenti narrativi a un’atmosfera comune. E, quando vediamo il finale, non possiamo fare a meno di considerare che la cupezza di quella scena non era niente di fronte ad altri tipi di attacchi alle istituzioni, fatti senza molotov, ma con slogan quali “uno vale uno”. Oggi che Nanni Moretti è quello, totalmente disincantato, de Il sol dell’avvenire, che dà voce addirittura alla controstoria, alla “storia fatta con i se” pur di riconciliarsi con una realtà altrimenti inaccettabile, riguardando questo film ci viene da pensare: “Come eravamo giovani, come eravamo ingenui!”