La cultura di Marilyn

Ho esitato prima di vedere Blonde, perché è un film di cui tutti parlano, e quindi a me veniva di non vederlo. E poi perché non ho la passione delle polemiche, e il film ne ha suscitate tante. Ora che l’ho visto, posso dire che molte di quelle polemiche non hanno ragion d’essere: non è un film antifemminista perché mostrare in maniera cruda le umiliazioni inflitte a una donna dagli uomini del suo tempo non significa fare dell’antifemminismo; anzi, viene una gran rabbia contro i personaggi maschili: non se ne salva neanche uno, tranne forse Miller; gli altri sono di una violenza, fisica e psicologica, insopportabile, di cui la pellicola non ci risparmia alcun dettaglio, dalle botte alle manipolazioni psicologiche all’uso della povera protagonista come un oggetto sessuale. Blonde non è nemmeno un film antiabortista, perché mettere in scena il dolore di una donna che ha perso un bambino  o che è stata costretta ad abortire non significa fare dell’antiabortismo. Semmai si può dire che il modo in cui mette in scena quel dolore ha risvolti involontariamente grotteschi, ad esempio quando Marilyn parla con il feto del bambino mai avuto.
Il film non ci risparmia alcun dettaglio della sofferenza di Marilyn, anzi insiste su ciascun dettaglio in maniera morbosa. Alla lunga, genera solo noia e assuefazione. Almeno un’ora di pellicola poteva esser tagliata senza danno né per l’incedere della macchina narrativa, né per la forza espressiva del film: forza che risiede nella rappresentazione della scissione tra Marilyn Monroe, che non è mai esistita se non nell’immaginario degli spettatori, e Norma Jane Baker, che parla di Marilyn sempre in terza persona, che non vuole essere né fare Marilyn, e che si trasforma in lei solo per il pubblico, assumendone gli atteggiamenti, il sorriso, la gestualità. Questa è la vera forza di un film che, per il resto, non ha forza perché la dissipa in una narrazione troppo lunga, con una musica da thriller che non c’entra niente, con un alternarsi tra bianco e nero e colore tanto angosciante quanto poco necessario sia da un punto di vista narrativo che estetico. Un film insopportabile, un’allucinazione lunga tre ore che forse non è un ritratto della vera Marilyn e forse non è nemmeno un ritratto credibile della sofferenza di una donna che, fra le altre cose, è stata anche Marilyn. Una lancia, però, vale la pena spezzarla: Marilyn Monroe è stata una donna colta, cosa che perlopiù non si dice di lei, e che il film invece dice, mostrandola mentre cita Dostoevskij o discute con Miller l’interpretazione di un suo personaggio. Maschilisticamente, la cultura di Marilyn non viene mai ricordata. Il film, invece, lo fa. E tuttavia non basta. Ad oggi, la cosa più bella fatta su Marilyn rimane la poesia di Pasolini.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...