Prima di oggi, l’ultima volta che avevo visto I vitelloni di Fellini era il 1994. Avevo quattordici anni, Fellini era scomparso da poco ed io ero un suo grande ammiratore -non che non lo sia più, intendiamoci, ma in quel momento era proprio il mio idolo, la massima espressione artistica possibile ai miei occhi. Ad affascinarmi erano soprattutto le atmosfere del film, la magia della scena al mare e quella di certe frasi come “Ormai le sere erano più dolci: si sentiva già la primavera”. Rivedendolo adesso, ho potuto apprezzare aspetti che allora non ero maturo per cogliere -come la costruzione drammaturgica- ma ho anche sentito una distanza temporale che nel 1994 era molto meno avvertibile. Il fatto è che il codice comunicativo è cambiato enormemente. Trent’anni fa tutti gli interpreti erano ancora vivi e il loro stile di recitazione era ancora vivo ai miei occhi. Ma non solo: erano ancora vivi i miei nonni, che erano più o meno della stessa generazione di Fellini, e tutto il loro codice comunicativo -fatto di voce, gesti, atteggiamenti del corpo- mi era presente. Oggi non è più così. Noi ammiriamo e amiamo quella generazione di attori e nello stesso tempo abbiamo iniziato a storicizzarla -non perché preferiamo gli attori inani d’oggigiorno, ma semplicemente per quei mutamenti di psicologia della percezione che sono inevitabili in settant’anni.
E ho pensato che forse i film sono destinati a invecchiare più irreversibilmente dei romanzi perché, nel leggere un dialogo in un romanzo, possiamo adeguare i contenuti ai codici comunicativi che ci sono congeniali, mentre in un film dobbiamo accettarli così come sono. Non accade nulla del genere in nessun’altra arte: anche la musica è legata all’interpretazione, ma, se il codice interpretativo cambia, possiamo rivolgerci a nuove interpretazioni -solo pochissimi oggi ascoltano Mozart come veniva eseguito nel 1934, ma se vogliamo vedere L’atalante di Vigo, che è del 1934, non possiamo che prenderlo integralmente così com’è.
Paradossalmente, questo discorso è meno vero per il cinema muto, il cui maggiore livello d’astrazione lo mette al riparo dai mutamenti di sensibilità e di gusto. Fra cento anni, forse, Luci della città di Chaplin sarà meno invecchiato de I vitelloni.
Il mutamento del codice comunicativo, dal 1953 ad oggi, è particolarmente evidente nelle donne: se è vero che nessuno recita più come Sordi, Interlenghi e Trieste, è ancor più vero che Leonora Ruffo e Paola Borboni si agitano sulla scena in un modo che appare ormai incredibilmente artificioso e lontano.
Le conclusioni non le ho, Tiratele voi.