Sfrega sui corpi – fino a quando è quando – non c’è spazio – un passato di animale – vita questa vita – che smette la parola – questa vita che non vive – che chiude e si arrende alla tua vista – la palpebra che azzera la mia voce
Nelle poesie di Elegia (Anterem 2022), Mariasole Ariot rinuncia alla scansione in versi e si limita a suggerirla con trattini, come se i suoi fossero frammenti di poesia citati in un testo in prosa. Ne sortisce un effetto di distanziamento: al canto si sostituisce una reminiscenza di canto. Più che poesie queste si configurano come tracce di poesia, prose poetiche scavate nella roccia e nelle ossa. Gli scavi di Ariot sono eseguiti dentro il mondo delle sensazioni e delle emozioni primordiali, dentro l’aspetto animale dell’essere umano da cui l’essere umano ha preso le distanze. La poeta attacca frontalmente la contemporaneità iperevoluta su un piano razionale e scientifico e al tempo stesso involuta sul piano emotivo e sensoriale:
La paura è una sacca – in cui giacciono i percorsi – le corse di una –mutazione specifica – della specie – la scimmia che diventa – uomo – e poi all’indietro – l’uomo che prende la pietra – accende un fuoco – che non si accende
Questo attacco all’inciviltà dell’iperciviltà è condotto con versi carichi di artificio, e carichi di un senso della morte che forse ha come antecedente illustre il Pasolini “delle ceneri”:
Mutano e cadono – e non mutano le cose morte – l’ombra – che mi avvolge di orizzonte – quando gli argini – non possono tollerare i fiumi – e un lago – si dilaga sulla fronte
Il sentimento della morte occupa gran parte dello spazio elegiaco. Nel suo riandare alle emozioni primarie, Ariot riscopre le radici funebri del canto, e le riesuma alla luce delle tante piccole morti di cui la civiltà contemporanea si sostanzia: in primo luogo la morte dell’identità, sopraffatta dalle ragioni dell’omologazione consumista:
Di nuovo un’identità – mancata – si scompensano le cose vive – e i vivi delle strade – questa strada senza passanti – questi passati che ronzano intorno – non stentano mai a morire
Non manca, tuttavia, la voce poetica, di notare una carenza di forza vitale anche in se stessa:
Mi dice – un volto macchiato – che dice un volto – che dice e si volta – piano – per le falci che hanno reciso – questa vita che non vivo, questa – grondaia da cui pendo – a cui – si appendono i miei morti
C’è un concetto che tengo a ribadire. Oggi si dice che le parole non hanno più spazio. Non è vero. È una bugia. Di parole ce ne sono fin troppe. Siamo sommersi dalle parole, inondati da parole che spesso non significano niente. La gente non è più disposta ad abbandonarsi alle parole. Anche i poeti si sono fatti più smaliziati, non hanno più quella fiducia assoluta nel proprio mezzo d’espressione. La sfida di ogni poesia, che è dire con la parola quello che la parola non sa dire, che è fare della parola una cosa mentre la parola, per sua natura, può solo girare intorno alle cose, quella sfida non è più possibile. Un poeta di oggi è un post-poeta e fa della post-poesia. E Mariasole Ariot, che si presenta con tutti i crismi di una post-poeta, scrive –assumendosene tutti i rischi- una postelegia.