Francesco d’Assisi, santo e poeta. È il Santo per eccellenza, e il più fregato dalla Storia. La sua figura reale si può provare a ricostruirla solo guardando fra le pieghe dell’agiografia che la Chiesa e lo stesso Ordine francescano -che non doveva, per Francesco, essere un Ordine- gli hanno appioppato addosso. La leggenda e la mistificazione hanno soverchiato e nascosto la realtà come la “cupola bella del Vignola” -che in realtà non è del Vignola- della mastodontica Santa Maria degli Angeli ha soverchiato e nascosto la piccola e calda Porziuncola ove Francesco agì e morì. Tommaso da Celano scrisse ben tre biografie di Francesco, una diversa dall’altra a seconda di come tiravano il vento e le convenienze della Chiesa. Per fare chiarezza, Bonaventura da Bagnoregio scrisse l’agiografia definitiva e ordinò la distruzione di tutte le precedenti. Con quell’agiografia Francesco, alter Christus, perfetto e inimitabile come Cristo, cessò di suscitare inquietudini e il suo caso fu archiviato. Le fonti storiche hanno cominciato a riemergere solo nel tardo Ottocento, e parlano di un santo anomalo, che non voleva essere santo, non voleva fondare un Ordine, che forse non conosceva nemmeno direttamente i Vangeli -Francesco era solo un diacono, quindi un laico, e i laici all’epoca non potevano leggere i Vangeli, solo ascoltare letture e prediche- che forse fu un uomo colto e forse no, un uomo del Medioevo in ogni caso, non un pacifista, non un ecologista; che forse non predicava agli uccelli ma ai criminali. Un uomo duro che fece una vita dura, animato da un unico scopo febbrile: seguire Gesù Cristo alla lettera. Non fu il fondatore di un Ordine, perché far parte di un Ordine significava per lui ottenere uno status, e lui non voleva uno status, voleva essere povero e incognito come Cristo, e voleva che così fosse chi lo seguiva. Scrisse le prime grandi poesie e prose della letteratura italiana, ma si vergognava del suo amore per la poesia e la letteratura perché non li considerava adeguati a chi voleva vivere solo della Parola di Cristo. (Ma fu amore per la letteratura scritta? Difficile dirlo. All’epoca, la letteratura, specie quella cortese, la si udiva recitata più di quanto non la si leggesse. San Francesco certamente la conosceva, ma non sappiamo se la lesse o la udì, né se scrisse di suo pugno o dettò, anche perché negli ultimi anni un tracoma lo aveva reso quasi cieco. Forse fu un uomo colto di una sua particolare cultura: come quei montanari che facevano gare di endecasillabi, o quei paesani che conoscevano la musica classica meglio di un laureato d’oggi perché l’avevano udita dalle bande.)
L’agiografia ha rubato a Francesco anche la giovinezza. Il giovane Francesco “peccatore” non fu forse più peccatore di qualunque altro giovane del suo tempo. A quell’epoca, i giovani ricchi saltavano addosso alle contadine, tiravano di spada e ammazzavano in guerra. Questo fu il mondo in cui Francesco fu giovane, e dobbiamo supporre che si comportasse anche lui come gli altri. E quando scrive, nel Testamento, “ero nei peccati”, dice semplicemente, alla maniera medioevale, che faceva una vita da laico. Ebbe tormenti, ebbe carisma; scelse la vita più dura e lo status più infame del mondo religioso medioevale: quello di laico “penitente”. Se, fra i tanti penitenti del suo tempo, proprio lui è arrivato fino a noi, è per la sua istrionica personalità, per l’intelligenza che lo tenne lontano dalle autoflagellazioni e dalle altre manifestazioni del fanatismo. Il suo unico fanatismo fu di seguire Gesù Cristo alla lettera. Non criticò nessuno, non si oppose mai a nulla: lavorò unicamente su di sé e su chi sceglieva di seguirlo. Fu, diremmo oggi, un comunicatore, capace di usare le tecniche dei giullari e dei cantastorie per parlare sia alla plebe che ai nobili. Tutta qui la sua vita. Santificato, agiografato, Francesco fu poco popolare fino a quando il Romanticismo non se ne appropriò. Assisi fu poco santa fino a quando il fascismo non se ne appropriò, e si appropriò del suo illustre cittadino per consacrarlo patrono d’Italia.
Non è senza significato che la sua maggiore biografa italiana è Chiara Frugoni, figlia di quell’Arsenio Frugoni che rinunciò al concetto stesso di “biografia” per scrivere la vita di Arnaldo da Brescia. Medioevalisti eccentrici per il più illustre eccentrico del Medioevo. Ma forse, per conoscere da vicino San Francesco, bisogna leggere il poco che ha scritto -scritto o dettato non importa: la serenità e musicalità dei suoi testi, la bellezza nuda, l’armonia raggiunta sono il risultato, e in arte conta solo il risultato: non importa dunque se l’ha raggiunta per sensibilità d’orecchio o per studio della pagina. Una cosa sola è certa: che quello che ha scritto è bellezza.
Applausi!
Sia per il testo che per la scelta dell’argomento.
E, in quanto alla conclusione, non potevi chiudere meglio.
Bravo Giorgio!
Grazie
🙂