“Sentieri di notte” di Giovanni Agnoloni

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Nel momento in cui crolla il Sistema, scompare Internet e si ferma l’erogazione dell’energia elettrica, Kristine sta terminando il suo romanzo. Presa com’è dal finale, s’accorge a malapena del disastro che è occorso. Pensa che sia un semplice black-out. Ma quando smette di scrivere, salva il file -è rimasta un po’ di carica nella batteria del portatile- e riprende coscienza di ciò che le avviene intorno, s’accorge di un buio sovraumano e del tramestio che le sale in casa dalla finestra. Affacciandosi, scorge alla luce della luna -l’unica luce nel raggio di chilometri- la sua vicina in sottoveste, scesa in cortile a domandare che cosa è accaduto. Questo particolare, della sottoveste, mi sembra rivelatore dell’approccio di Giovanni Agnoloni: il suo futuro è lontano dai cliché di un avvenirismo esteriore, nel suo 2025 la quotidianità, quale noi la conosciamo, è ancora ben viva e presente. Trent’anni fa solevamo immaginare il Futuro come un luogo di macchine volanti, di ponti girevoli e astronavi vagolanti fra i grattacieli. Pensavamo che l’aspetto esteriore delle città sarebbe profondamente mutato. L’unica cosa mutata, invece, è stata l’acuirsi del degrado urbano. La vera rivoluzione, quella digitale, è avvenuta nel regno dell’immateriale. La nostra vita è legata a doppio filo alle sue “protesi” immateriali. Abbiamo fatto tutti la banale esperienza di una banca dove, a un certo punto, si bloccano i computer e gli impiegati vanno nel panico. La narrativa di Giovanni Agnoloni s’interroga su ciò che accadrebbe se l’intera Rete crollasse, ed esplora tutte le possibilità pratiche, ma anche etiche, politiche e -lasciatemelo dire- metafisiche di un simile evento. Quanto potere avrebbe colui che riuscisse a controllare la Rete? E che tipo di potere sarebbe quello di colui che, padrone della Rete, decidesse a un dato momento di spegnerla? Sarebbe l’umanità capace di tornare a vivere come prima? E l’orologio della Storia tornerebbe semplicemente indietro, o scopriremmo che lo spazio virtuale ha modificato in maniera sorda ma irreversibile non solo il nostro modo di percepire la realtà, ma financo la realtà stessa? C’è una città europea -non dirò il nome- dove un’intera fascia urbana virtuale, invasa da una misteriosa nebbia bianca, s’è sovrapposta ai fabbricati reali, innescando un processo fisico-chimico che ha fatto impazzire lo spazio-tempo. Il risultato è peggiore di un buco nero: è la trasformazione dell’antico quartiere ebraico in un Solaris dove la realtà si rigenera solo per sedimentazione di tracce mnestiche, ricreando -per poi farle di nuovo sparire- le memorie perdute di coloro che osano addentrarsi nel suo magma. In questo caos, la narrativa di Agnoloni cerca di metter ordine col metodo più semplice, quello degli antichi marinai. Agnoloni costruisce delle mappe, ci rammenta i quattro punti cardinali, ricostruisce gli itinerari dei suoi personaggi con una precisione così maniacale che si potrebbe ricostruire dai suoi romanzi lo stradario di Cracovia o di Berlino. Il suo realismo intesse un dialogo perturbante coi temi della sua narrativa, una sorta di utopia negativa alla Zamjatin -le culture extraeuropee sono ben presenti all’immaginario dell’autore, che di professione è traduttore da numerose lingue.

Sentieri di notte è un romanzo post-futurista che guarda il futurismo come in un negativo, di cui il positivo è diventato invisibile. Certo, si può apprezzare il romanzo di Agnoloni anche senza pensare a tutto questo, un po’ come, secondo Paolo Nori, si può leggere Chlebnikov fregandosene della lingua transmentale. Il lettore ingenuo vedrà nella misteriosa nebbia bianca qualcosa tipo il Nulla di Ende, o leggerà il romanzo come una bella storia alla Blade Runner. E perché no? È un livello di lettura possibile. Si può leggere Sentieri di notte come una storia avvincente oppure come un testo problematico. Agnoloni invita alla lettura problematica con un espediente strutturale sottile, di marca conradiana: quasi tutto il romanzo è frutto dei monologhi dei suoi protagonisti, sì che la storia alla fine “la si ricompone” dall’incrociarsi dei punti di vista, lasciando tuttavia ampie zone d’ambiguo e di non chiarito. Il lettore più ingenuo lamenterà forse che la struttura “a blocchi di monologhi” rallenta l’azione, ma non se ne cruccerà oltremisura, perché la scrittura di Agnoloni è così trasparente che il “montaggio” di tali blocchi narrativi è realizzato con una discrezione che permette di nulla perdere degli aspetti avvincenti della trama.

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