Giovanni Agnoloni, “Partita di anime”

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L’idea di Oltre è connaturale alla letteratura fantastica: c’è l’Oltre ipertecnologico della science-fiction, l’Oltre che coincide col paranormale, l’Oltre per eccellenza, il Divino, e l’infinita serie di declinazioni dell’Oltre che si sono date da che mondo è mondo e da che letteratura è letteratura. L’idea di Oltre presuppone anche quella di un varco, di una chiave d’accesso a quest’Oltre, che conduca dal “di qua” al “di là”. Nella narrativa di Agnoloni, questa chiave d’accesso è un’assenza: meglio ancora, la scomparsa di un corpo. È il venir meno di qualcosa che prima era, e che ora non è più. In Sentieri di notte, era l’improvvisa mancanza di Internet a mettere in moto la vicenda. All’inizio di Partita di anime, scompare una persona. Viene uccisa nella piazza più pubblica di una Amsterdam invasa da un sole scrosciante: sembra un omicidio senza senso, se non fosse che un giornalista -un uomo imperturbabile e sensitivo- capisce a poco a poco che c’è dell’altro, e che la vittima non era “soltanto” se stessa. Ogni volta che ci troviamo di fronte a una scelta, o che subiamo le conseguenze di una scelta, una parte della nostra anima si stacca. A ogni svolta della nostra volontà noi modifichiamo la curvatura dello spazio-tempo, e le diverse vite che avremmo potuto vivere non restano pure potenzialità, ma ognuna si sostanzia in una persona, e vive una vita parallela e coesistente alle altre, esiste insomma non come frammento d’anima, ma come persona “relativamente” intera. Che a volte interagisce con le altre persone “relativamente” intere partorite dal caleidoscopio delle possibilità. Non si tratta dell’ennesima rimasticatura lacaniana sull’io multiplo e scomposto. Qui è all’opera anzi un principio della fisica, quello della diffrazione quantistica, applicato però all’animo umano. Agnoloni rifiuta le scorciatoie dello psicologismo e preferisce essere ancora battitore di una terra di confine fra la fisica e la metafisica. In Sentieri di notte, il crollo di Internet rivelava un cambiamento nei rapporti di forza elettromagnetici che siamo soliti identificare come “oggetti” e “mondo”. Agnoloni continua il suo scavo nella storia della letteratura fantastica. È Hoffmann il nome di riferimento, in particolare il racconto L’uomo della sabbia, dove il gioco dei doppi è portato fino all’esplosione del piano di realtà, di una realtà da cui (lasciamo la parola a Luigi Forte) “scaturiscono enigmatici sosia, un fulcro da cui muove tutta una girandola di identificazioni […] una smisurata realtà stracolma di fungibili presenze […] un incanto speculare, un rifrangersi d’immagini di fronte allo specchio infranto della realtà” fino al punto di non poter distinguere su quale piano di realtà sta avvenendo, in un dato momento, l’intrigo. “Gli interrogativi” (è sempre Luigi Forte che lo dice) “sono legati al problema dell’identità: i personaggi si ribaltano, giocano a rimpiattino” e tutto è generato “dall’identità incrinata di Nataniele”, il protagonista. Proviamo ad “attualizzare” questo discorso, a porlo in termini scientifici: il risultato sarà molto vicino a Partita di anime. Colui che indaga sul “caso” dell’uomo ammazzato non può essere un investigatore comune: come nei romanzi di Mutis, come nei fumetti di Corto Maltese, il dipanarsi della matassa va più colto coll’intuito che seguito colla ragione. Scienza e mistica si mescolano, nell’Oltre, perché la rivoluzione della scienza del Novecento è stata proprio l’aver ammesso l’Oltre al proprio interno. Naturalmente, parliamo di un Oltre laico.

Il libro è suddiviso in due racconti. Fin qui abbiamo trattato del racconto eponimo, il primo, il più lungo. Il secondo, ambientato in una Firenze notturna, dà vita a un intreccio più fantastico, a un’atmosfera preraffaellita, dove un uomo vive in un cimitero, e una donna scomparsa (di nuovo l’assenza) è la chiave traverso cui giunge all’Oltre -ritrovando al contempo se stesso. Un racconto fantastico in senso più tradizionale, attraversato da presenze fluttuanti di semivivi.

Questo secondo racconto introduce al cuore del crepuscolarismo di Agnoloni. Possiamo vedere il crepuscolarismo in due modi: in modo “italiano”, come movimento sviluppatosi al tempo delle avanguardie storiche e caratterizzato da una forte attenzione agli aspetti minuti del vivere (il crepuscolarismo di Govoni, Moretti, Gozzano e Corazzini, che ebbe qualche riflesso su Palazzeschi e perfino su certo D’Annunzio); oppure possiamo vederlo come una “sfumatura” della letteratura francese, patente in Jammes, presentita in Maeterlinck, Laforgue, in certo Verlaine. Agnoloni accoglie il crepuscolarismo in entrambe le accezioni. C’è il crepuscolarismo “di atmosfera”, che informa tutto il secondo racconto; e c’è il crepuscolarismo dei particolari desolati e minuti, dell’attenzione ai dettagli della vita d’ogni giorno. In Sentieri di notte, c’eravamo soffermati sulla sottoveste di una vicina. Qui potremmo gustare col protagonista del primo racconto le pause dal lavoro, i sorsi di birra, il piacere di smarrirsi nella pace anonima di un caffè. Queste due forme di crepuscolarismo si incontrano nella prosa “angelica” di Agnoloni, nella sua scrittura aerea e dolorosamente impalpabile.

Partita di anime è solo indirettamente legato a Sentieri di notte: la storia dell’omicidio e quella “notturna” hanno luogo poco prima e poco dopo il crollo della Rete. Sono storie periferiche. Pochi indizi riportano al romanzo principale: qualche nome, qualche riferimento cronologico, e l’abitudine di far “poggiare i piedi in terra” al lettore, mostrandogli gli itinerari dei personaggi con precisione inusitata, non omettendo quasi nessun nome di strada. Anche qui, il lettore ingenuo può lasciarsi catturare dalla storia. Ma questo “basso continuo”, questo “ostinato” fatto di strade e di vicoli gli ricorda che la letteratura, nella sua essenza, non può mai essere solo evasione. E che, anzi, è ricerca: ricerca di un Uno che è Tutto, di un’armonia hölderliniana.

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