25 aprile

Quando le elezioni italiane erano state vinte da un partito neofascista, Aurelio aveva passato diversi giorni a guardare documentari su Mussolini, arrivando a formulare riflessioni originali.

Per Aurelio, la vera unità d’Italia non l’hanno fatta i padri risorgimentali: l’ha fatta Mussolini, che per primo ha avuto i mezzi di comunicazione per arrivare a tutti gli italiani. La mancata epurazione del dopoguerra -l’amnistia Togliatti- ha fatto il resto: la mistica fascista, tramandata sotterraneamente per decenni, s’è unita alla mistica dei consumi. Il risultato è diventato visibile a partire dal 1994. Ma era già tutto scritto.

Hanno ragione quelli del governo quando dicono di non essere figli del fascismo: sono figli della mistica dei consumi, della sua smodatezza, della sua intolleranza del diverso in quanto essenzialmente colui che non ha, che non consuma perché povero o che consuma prodotti diversi -fra i quali la cultura. Il retaggio fascista è solo una sfumatura nel suo pensiero -una sfumatura che però aggancia l’inconscio collettivo degli italiani.

Proverò a fare un esercizio spirituale nei prossimi giorni, si disse Aurelio, e a non parlare né di fascismo, né di Resistenza. Fascismo e Resistenza sono stati cose serie, e il fascismo era atroce proprio perché serio. Fascisti e partigiani venivano da una cultura ottocentesca che dava importanza al sacrificio, al coraggio, all’eroismo, a istanze superindividuali. Questo ha reso possibile quella pagina grandiosa e tragica che è stata la lotta antifascista.

Negli anni Settanta, fascisti e comunisti si sparavano tra loro. Quando Aurelio frequentava l’università, nei primi anni Duemila, andavano a ballare insieme in discoteca e dimenticavano i loro contrasti in nome di una comune etica del divertimento. Non che Aurelio avesse nostalgia delle pallottole, ma gli era chiaro quanto i tempi fossero cambiati.

I governi di destra dal 1994 in poi hanno rappresentato soprattutto un tratto distintivo dell’ “etica” consumistica: il desiderio di essere anarchici con se stessi e di estrema destra con gli altri. Non immaginiamoci come dei nuovi partigiani, argomentava Aurelio, perché dei partigiani non abbiamo né la tempra, né la serietà, né la capacità di formulare una visione del mondo. Quelli lì -della generazione dei partigiani- erano gente abituata a pensare in termini di classe dirigente anche se di mestiere facevano i postini, noi siamo abituati a vedere il calcio davanti alla televisione.

Perciò, non commettiamo l’errore di paragonarci ai partigiani, perché siamo anni luce al di sotto di loro, e nemmeno permettiamoci di parlare a loro nome, dicendo “Un partigiano oggi direbbe questo o quest’altro”, perché i partigiani che Aurelio aveva sentito parlare erano gente molto seria e molto delusa da com’erano andate le cose.

Noi, semplicemente, non siamo seri.

(Da un mio racconto non finito, che forse non finirò.)

In foto: Luigi Ghirri, Viva il 25 aprile

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