Giovanni Agnoloni, “Viale dei silenzi”

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Uscito nella collana “Senza rotta” di Arkadia, Viale dei silenzi è il primo romanzo non fantastico di Agnoloni. Un romanzo breve, di 131 pagine, ma denso. Nella prima parte sembra senza direzione, ancorato al monologo interiore di un protagonista bloccato in se stesso. Questo protagonista è uno scrittore, è di Firenze e gira per le residenze letterarie di mezzo mondo proprio come Agnoloni. Ma non è Agnoloni. È, invece, un personaggio ricorrente della sua narrativa: il giovane segnato dalla scomparsa di una persona importante e che per tutta risposta si è chiuso in se stesso. È sprofondato nel proprio mondo interiore come in un luogo sicuro rispetto a un mondo che fa apparire e scomparire suo padre in modo misterioso. Ma, a quattro anni dalla sua definitiva scomparsa, anche il mondo interiore si è fatto scivoloso, infido, per nulla rassicurante. Egli avverte la necessità di indagare quella sparizione in modo attivo. E la prima identità altra in cui si imbatte è quella di una persona che cerca, proprio come lui. Da quell’incontro prende le mosse un romanzo che da un Io egotistico muove verso il Noi, dalla dimensione individuale verso una desiderata coralità.

Agnoloni si conferma scrittore capace di costruire trame avvincenti con pochi elementi basilari. Elementi che ricorrono in tutta la sua narrativa come vere e proprie ossessioni: il viaggio, l’incontro fra un uomo e una donna che cercano, la casa “alla fine del mondo” in cui i protagonisti si ritrovano. Questi topoi narrativi, che avevamo già conosciuto nella tetralogia “della fine di Internet”, tornano qui in un universo apparentemente privo di contatto col precedente. Dico apparentemente perché l’indagine dello scrittore insiste sullo stesso tema di fondo: le trasformazioni antropologiche che hanno accompagnato il passaggio dal mondo analogico a quello digitale, dal Secolo breve a questo torbido Duemila. Le vite dei protagonisti si intrecciano a quest’epoca di passaggio quasi controvoglia. Sembra che a nessuno di loro piaccia il periodo storico in cui sono stati gettati, ma non si decide di venire al mondo in un dato momento: essere contemporanei non è una scelta, è un obbligo che per qualcuno si trasforma in un dramma. Così, dalla scomparsa di un individuo-padre lo sguardo si allarga alla scomparsa di tutta una serie di mondi, da quello della Firenze bottegaia alle sottoculture dei primi anni ottanta, dalla Polonia comunista all’Inghilterra del periodo pre-Brexit. Sembra che nessuna conciliazione sia possibile con se stessi e con gli altri se non prendendo le distanze da questa modernità e dai suoi simboli. La pacificazione può avvenire solo ricongiungendosi alle origini, a una natura selvaggia e perfino riottosa, quasi maldisposta nei confronti dell’uomo.

Viale dei silenzi costituisce un approfondimento sia interiore che stilistico dei motivi affrontati nella tetralogia fantastica. Il modo in cui la scrittura, nella prima parte, aderisce al pensiero egotistico del narratore è impeccabile. Il mix di una contemplativa prosa letteraria e di una più veloce prosa narrativa è ben riuscito, e si può solo lamentare che, in un romanzo così breve, la tensione stilistica non abbia tutto il tempo per fermentare, che sembri costretta dalla trama a frenarsi prima di aver raggiunto il punto massimo. Possiamo anche notare un caratteristico tic della narrativa di Agnoloni: la precisione -al limite del pedantesco- con cui vengono menzionati i luoghi, indicati i percorsi fatti dai protagonisti, nominate le vie che attraversano e quelle in cui svoltano. Nei romanzi fantastici questa precisione toponomastica aveva il valore di un ancoraggio a terra, di un contraltare rispetto alla trama non realistica. Qui l’ancoraggio a terra è reso necessario dalla ruminazione interiore del protagonista, dalla sua tendenza alla fuga dentro di sé. Lo straniamento prima dovuto al mondo esterno, ora è dovuto a noi stessi. È dentro noi stessi che siamo stranieri e straniati.

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