Voci

Il deserto rende pazzi. La tortura rende pazzi. Il mare rende pazzi. Una giovinezza mal vissuta può rendere pazzi.

VOCE DAL DESERTO – Sia in mare sia nel deserto, la fine del viaggio è un mistero. Ti puoi orientare con le stelle, ma non è solo il punto della carta geografica. È anche il punto della carta politica. Sulla carta geografica l’Eritrea è una terra d’olivi e di rovi, che si fa dolce e spiana verso il mare, e il mare è il Mar Rosso dell’antichità. Sulla carta politica, l’Eritrea è una terra rosso sangue. La leva dura dai diciotto ai cinquant’anni-quaranta per le donne. A diciassette anni fai l’ultimo anno di scuola in una scuola militare, poi non sai più quando finisci: potresti finire a cinquant’anni se sei un uomo, a quaranta se sei una donna, oppure -ed è più facile- potresti finire tu prima d’aver finito la leva. La guerra non finisce mai, e il viaggio, invece, a volte può finire. La leva inizia dall’anno prima dei diciotto anni, quando fai l’ultimo anno in una scuola militare, e poi dura finché dura. Il viaggio, se lo cominci prima, dovrebbe finire prima. Se lancio i dadi, il conto è a favore del viaggio.
Così pensavo a sedici anni sotto gli alberi di mio padre vicino a Ghinda. E allora mi sono messo in viaggio. Con pochi soldi e una lista di nomi, nomi per ogni città. Perché nel viaggio ci sono tanti ostacoli, e bisogna poter chiedere aiuto. Il primo ostacolo è al confine col Sudan, dove il governo ordina di sparare a chi cerca d’attraversarlo. I soldati hanno paura a tradire il governo: ci sono la tortura, la prigione, la fucilazione. Se tradiscono il governo, deve essere per soldi. Prova a corromperne uno, e spera che vada bene. Mi è andata bene. Ho tirato i dadi, ho avuto fortuna. Ma di là dal confine c’è un altro ostacolo. Se il governo sudanese ti rintraccia, ti rimanda in Eritrea, e in Eritrea prigione e tortura. Ho cambiato giaciglio ogni notte. Ho continuato a parlare in lingua tigrina, ogni sera in un posto diverso. Non potevo mettere in pericolo quelli che mi ospitavano. Dovevo andare. A nord. Cufra. Mi hanno dato un po’ di soldi. La prima auto prende i soldi, ti porta per un po’, poi ti lascia. Poi viene la seconda auto, prende i soldi, ti porta per un po’, poi ti lascia. Se non hai più i soldi per pagare nessuna, l’auto ti lascia nel deserto. Io avevo un’altra moneta per pagare: l’auto era guasta ed io sono un meccanico. Così sono arrivato fino a Cufra. Quattro volte s’è guastata l’auto, quattro volte l’ho riparata, con le mie cose e con quelle di tutta la gente che viaggiava. C’era un mio compagno di scuola, a Cufra. Lavorava come meccanico. M’ha fatto prendere. Ho fatto il meccanico qualche anno, finché non ho messo insieme i soldi per andare via, il Mediterraneo, e l’Europa dove si è liberi. Ma dell’Europa ho visto solo un pezzo di Sicilia dove stavo per quaranta giorni in un centro. Poi indietro, verso la Libia. Perché la Libia era allora un Paese amico e l’Italia affidava i fuggitivi del mare alla custodia dei libici. I soldati libici mi hanno custodito così: mi hanno tolto tutto all’arrivo, compresi i vestiti. Mi hanno sbattuto in prigione e ogni giorno mi hanno torturato come un cane. Ogni giorno. Come tutti gli altri.
Dei rifugiati politici in Italia, storie se ne sentono tante. Ma non si sente dire che alcuni arrivano da prigioni che erano mezze italiane. Il governo italiano ci metteva soldi, nelle ventuno carceri libiche dove l’esercito di Gheddafi sbatteva chi cercava di lasciare il Paese. Mi hanno torturato come un cane. Ha pagato il riscatto il mio amico meccanico, soldi mandati da mio padre, chi sa come. Ho ricominciato a fare il meccanico. Nel frattempo era scoppiata la rivolta. La primavera del 2011 è arrivata con le bombe, il vento della primavera portava rumore di esplosioni e odore di bruciato e di cadaveri. L’esercito libico faceva carne di porco a terra, le bombe dei liberatori piovevano dal cielo a cui non si poteva più pregare, c’erano troppa gente e troppi apparecchi in mezzo tra me e Dio. E un giorno una voce all’officina m’ha detto: è uno di quelli che t’ha torchiato in prigione, ammazzalo! Ed io gli ho tirato qualcosa. Avevo sentito solo la sua voce. Il capo mi ha licenziato. E ha licenziato il mio amico che mi aveva fatto prendere. Abbiamo raccolto i soldi per fare un nuovo viaggio.
Ormai sono passati cinque anni dal viaggio. Io continuavo a sentire la voce di qualcuno. Dopo la traversata continuavo a sentirla. Al centro continuavo a sentirla. Dopo che mi avevano riconosciuto rifugiato politico continuavo ancora a sentirla. Non so a quante persone avrei messo le mani addosso quando la voce mi diceva: è lui che ti ha torturato. Me ne ricordo appena. Era come se qualcun altro s’impadronisse del mio corpo. Non ero io perché mio padre m’ha insegnato che violenza chiama violenza. Adesso le voci mi parlano meno spesso, sto in una clinica per malati di mente a Roma e Semira, la mia fidanzata mi viene a trovare quando le danno il permesso. C’è tanta gente che
va e viene per la clinica. Non ho mai aggredito nessuno, anche quando ho sentito la voce non le ho ubbidito. Non posso scrivere a mio padre, dall’inizio del viaggio non ho potuto più farlo. Meglio così, mi vergognerei a dire che suo figlio ora sente le voci e picchia la gente. Mio padre diceva che aveva un figlio forte. Ora la mia unica forza è Semira, non fosse stato per lei sarei tornato in prigione, forse sarei tornato in Libia o in Eritrea.
Il viaggio è finito. Grazie a Dio siamo salvi. Ma l’anima non è salva. Qualcuno prega dal fondo del Mediterraneo, dove troppi cadaveri s’interpongono fra le preghiere e Dio. Qualcuno è rimasto a pregare di là dal mare, ci sono troppe urla e troppo fragore d’artiglieria per parlare in pace con Dio. Chi è arrivato, a volte sente voci diverse dalla voce di Dio.

VOCE DAL MARE – Non ho fatto in tempo ad arrivare in Italia. Sui rifugiati politici in Italia, storie se ne sentono tante, su quanti bambini e donne spariscono, su quanto è difficile fare… Invidio loro soltanto la vita. Io all’inizio non me ne sono nemmeno accorto, sarà stata la fame, il caldo, l’aver avuto troppe visioni nel deserto, ma io non distinguevo più.
Lo scafo s’è spezzato con un rumore come quello di uno sparo, sembrava un incubo di quelli che faccio ogni notte. Gli urli di paura sembravano gli stessi della guerra ed io la guerra la sogno ancora ogni notte. Poi ho capito. Era notte, si sentiva dire qualche cosa di una nave di soccorso. Si vedevano i razzi illuminare, i soccorsi dovevano essere vicini. Ma il mare era gonfio. Non si doveva prendere il mare con un mare così gonfio. Vedevo i razzi, sentivo le voci. Il mare mi copriva, emergevo e il mare di nuovo mi copriva. Il corpo pesava. Pesava l’acqua. Di nuovo fuori, un respiro, poi sotto. Di nuovo fuori, un respiro più breve, un pezzetto di cielo rotto dai razzi. Poi sotto. Sono riuscito anche a intravederla, la motovedetta. Ma il pezzo di motoscafo era in mezzo, li vedevo qualche secondo quelli della motovedetta, loro non potevano vedermi. Un respiro brevissimo, un respiro spezzato, le mani degli altri che si arrampicavano su di me, le mie mani che cercavano di arrampicarsi su di loro. Il faro proiettato in mare è arrivato quasi vicino a noi, poi è arrivato sopra di noi quando noi eravamo già sotto. Le urla, poi l’acqua. Il corpo si dimena ma l’acqua spinge giù, spinge giù. È come avere le catene ai piedi. Alle mani. Alla testa. L’acqua tira. Non respiro. Sento solo l’aria che manca. Aiuto! Voglio l’aria! Voglio la vita, volevo vivere! Non sono pronto. L’aria che manca. La luce che non si vede, i razzi che non si vedono più. Dei rifugiati politici in Italia, storie se ne dicono tante. Non invidio i bambini spariti, venduti chi sa dove, chi sa se interi o a pezzi, a tutti gli altri invidio solo la vita. I polmoni si riempiono d’acqua. Non sono pronto, ho vita ancora! Non c’è più tempo. I polmoni sono pieni, i polmoni scoppiano. Acqua e più nulla.

Ci sono voci sul fondo del mare. Prima di morire erano vivi. Erano così pieni di vita da sfidare la morte per salvarsi. Ora tacciono, zittiti dal Mediterraneo. Ora dormono, sul fondo del Mediterraneo.

5 pensieri riguardo “Voci”

  1. Senti… io sto passando un periodo di angoscia e paura.
    E non so se leggere questi ultimi tuoi preziosi scritti mi abbia fatto bene o male.
    Ci devo pensare.
    Comunque… grazie.

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