Il bandito di Dio

Il 15 giugno 1937 il direttore d’orchestra Antonio Guarnieri diresse il concerto commemorativo del bicentenario della morte di Stradivari. Erano venuti per l’occasione i maggiori violinisti, violisti, insomma i virtuosi di strumenti ad arco di tutto il mondo. Guarnieri all’epoca era una celebrità, un direttore d’orchestra che stava al pari di Toscanini e di de Sabata, anzi alcuni addirittura lo preferivano a costoro. Dopo aver ascoltato la Juditha Triumphans di Vivaldi sotto la sua bacchetta, Ezra Pound aveva commentato: “Io da Dio vorrei ascoltare Vivaldi diretto da Guarnieri piuttosto che Beethoven diretto da Toscanini”.

Guarnieri doveva dirigere quel concerto commemorativo, e a Cremona erano affluiti non soltanto i più grandi virtuosi d’arco, ma anche i migliori strumenti ad arco del mondo. Non solo gli Stradivari, ma anche gli Amati e i Guarnieri del Gesù. Erano custoditi al Palazzo Guelfo di Cittanova.

Era un giugno fiorito e fioriva l’entusiasmo della città. Anche l’ultimo dei violinisti di strada suonava più fiero, perché sentiva una lontana parentela fra il suo strumento e quelli che stavano custoditi a Palazzo Guelfo.

Come siano riusciti a portare quegli strumenti fino al Teatro Ponchielli e suonare indisturbati tutta notte non si sa, ma riflettendoci non doveva essere difficile: erano i virtuosi a cui quegli strumenti erano destinati per il concerto, il direttore designato per il concerto, la sala destinata al concerto… Il personale di sorveglianza dovette pensare a qualche seduta di prove straordinaria.

Era la notte, gli altri dormivano mentre tutti i virtuosi si intrufolavano a Palazzo Guelfo per trafugare gli strumenti. Li portarono al teatro, e lì per tutta la notte li suonarono sotto la direzione di Guarnieri. Scrisse il critico musicale Franco Abbiati: “Gli strumenti passarono giocondi tra le braccia degli amanti di una notte: Andreasson e Adolf Busch, Abbado e Abussi, Brengola e Pelliccia, Pierangeli e Materassi, Principe, Serato, Ruminelli, Doktor, Hindemithh (sì, Paul Hindemith), Pasquali, Bonucci, Crepax, Janigro, Mazzarurati, Sabatini, Oblach, Brunelli, Corti, Consolini e via via. I banditi di Dio. E Toni Guarnieri capobanda che li guidava come Dio voleva in quella notte di pazzia”.

Come molto nella vita di Guarnieri, anche questo episodio è avvolto nella leggenda. Altre testimonianze, oltre a quella di Abbiati, non ve ne sono, e i protagonisti della storia sono ormai tutti nella fossa.

Guarnieri ha lasciato pochissime incisioni. Non esiste una biografia su di lui. Esistono solo il ricordo della sua leggenda e di un carattere a dir poco eccentrico. Eppure a testimoniare l’eccellenza della sua arte furono colleghi di primissimo piano: uno per tutti Igor Markevitch, che, nelle sue memorie, affermò che Guarnieri trasmetteva un senso di infallibilità pari solo a quello di Toscanini.

Dirigeva con una bacchetta corta come una matita e gesti talmente piccoli che a volte pareva non si muovesse. Toscanini assistette a una prova, una volta, alla Scala. La Scala che in quegli anni era il tempio di Toscanini, che vi esercitava un potere quasi dittatoriale. A un certo punto, questo dio della musica, geloso di come quello soggiogava i suoi orchestrali, si avvicinò al podio e chiese con gentilezza a Guarnieri: “Ha bisogno di qualcosa?” E Guarnieri: “Sì, varda se funziona i caloriferi”. Secondo un’altra versione della leggenda, Guarnieri gli mise in mano una moneta e gli chiese di andargli a comprare un sigaro. Un caratteraccio. Di Toscanini erano famose le sfuriate, di Guarnieri le battute. Era famosa anche la sua poca voglia di studiare. Un giorno doveva dirigere il Macbeth di Bloch al Teatro San Carlo, a Napoli. Si era presentato alla prove senza aver mai aperto la partitura e si trovò subito in difficoltà. “Questa musica mi fa schifo”, disse, e se ne tornò in albergo affermando di non voler dirigere. I sovrintendenti del teatro chiesero aiuto all’autore e Bloch gentilmente si offerse di cominciare le prove. Preparò l’opera con diligenza. Guarnieri intanto seguiva di nascosto da un palco. Alla prova generale si ripresentò con lo spartito sotto il braccio. “Che ci fa qui, maestro?”, gli chiesero. “Devo dirigere l’orchestra” rispose. “Ma c’è il maestro Bloch”. “Ho un contratto”, rispose Guarnieri. Cominciò a dirigere e l’orchestra sembrava trasformata. Fu un trionfo. Alla fine Bloch corse a stringergli la mano. “Non sapevo di aver scritto una musica così bella.”

Oggi non resta quasi nulla di Guarnieri, e le ragioni sono molte: il suo perfezionismo, che non gli permise mai d’essere soddisfatto dei risultati raggiunti; le vicissitudini delle matrici di tante sue incisioni, distrutte durante la guerra; la diffidenza verso la sala d’incisione, perché, insoddisfatto com’era, aveva paura all’idea di fissare per sempre una sua esecuzione. Era un uomo serissimo. Quasi un sacerdote della musica. Si lasciò seppellire con la musica. Non cercò di conservare la sua immagine. Era un artista puro e intransigente. Ci resta la sua leggenda. Le stesse circostanze rocambolesche in cui sparirono le matrici dei suoi dischi sono materia di leggenda. Un treno partì per la Germania con le matrici, fu bombardato. Di quelli che avevano partecipato alle sedute d’incisione, quasi nessuno ricordava cosa avessero inciso: chi diceva Brahms, chi Wagner, chi brani d’opera italiana. Evidentemente, Guarnieri era fatto per questa dimensione: quella delle cose che si riconoscono come vere ed eccelse anche in assenza di prove tangibili.

Ma c’era anche l’altro Guarnieri, il guascone. Trememdo con le sue freddure. A una prova, chiese a un tenore di spostarsi un po’ più in là. Gli disse “Più lontano, più lontano”, finché il tenore protestò: “Ma, maestro, così sono fuori scena!” “Bravo!” rispose Guarnieri “quello è il posto tuo!” Il Guarnieri bandito di Dio. Che quella notte del 1937 portò con gli altri banditi di Dio quegli strumenti divini fuori dal Palazzo Guelfo e diresse quella siderale orgia di suoni. Ma di tutto questo rimane solo una piccola eco in un articolo di Franco Abbiati del 1953, quando il maestro era morto da un anno, e poche righe in qualche frettolosa nota biografica. Del gesto, del suono di Guarnieri è rimasto quel che è rimasto degli odori di quelle notti di giugno.

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