(a Ilaria Seclì)
«Ti ho spedito il mio libro. Stavolta non ti mando una lettera scritta a mano, mi sono accorto che scrivere a mano, quasi sempre, mi limita, che solo nella parola astratta della scrittura a macchina mi sento libero di dire quello che mi pare. È una deformazione dei nostri tempi, senz’altro, ma ho sempre praticato una scrittura in scomparsa, una scrittura in cui era possibile dire “io” solo se a dirlo era un altro -sono sempre morto nella mia scrittura, e mi sembra coerente adottare un metodo di scrittura impersonale, che cancelli le tracce del mio io fisico. Ti sembrerà un delirio, e forse lo è. Vivo nei simboli della dissipazione: il fumo che sale dalla pipa, le parole che scontornano nell’etere, le amicizie senza essersi mai visti, i libri che nessuno legge. Ogni volta che mi rimprovero di stare sprecando la vita, mi viene in mente che forse lo spreco è il mio modo di essere. Perdona quest’amarezza e questa dissipazione, gli scrittori sono dei costruttori, ma noi non siamo scrittori, siamo solo dei naufraghi che cercano di restare aggrappati alla nave della scrittura. Non scriviamo più per esistere, ma per sopravvivere. Ed io sopravvivo sparendo. Leggi il mio libro. La mia vita è più in dieci righe che in dieci giorni, e sono più io nelle parole dietro cui scompaio che qua.»
“siamo solo dei naufraghi che cercano di restare aggrappati alla nave della scrittura.”
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applausi!